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Il pericolo di infiltrazioni malavitose

Nuovi scenari di criminalità si aprono sempre più intorno alla vicenda degli operai della Tecnova. Inoltre un attentato incendiario ha semidistrutto un parco fotovoltaico a Lecce su via Vecchia Carmiano
 
Incontriamo Christofer di fronte alla Questura di Lecce. È un omone alto e piazzato, i lunghi “dred” (rasta) raccolti nel cappello con i colori della sua patria, il Kenya. È uno dei punti di riferimento per i lavoratori della Tecnova, anche se ha smesso di lavorare per gli spagnoli a febbraio. Preparato, a volte irruento, sa perfettamente di cosa parla. Qui ha accompagnato altri ragazzi per formalizzare le denunce. Li ha convinti anche se sono clandestini. “Bisogna fare squadra- ci ripete- ci hanno trattato da schiavi”. 
Ecco, sfruttamento del lavoro, riduzione in schiavitù, ora probabilmente sul tavolo del procuratore Cataldo Motta potrebbe arrivare anche l’ipotesi di sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Con l’apertura di nuovi scenari inquietanti. Kokwu lavorava nei cantieri edili del napoletano prima di essere chiamato, anzi, “intercettato”, a Lecce a montare pannelli fotovoltaici. Prima ancora, era a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, quando agli inizi dello scorso anno è scoppiata la rivolta degli sfruttati delle arance contro la ‘Ndrangheta. Dal Togo in Italia, nel 2007, con un permesso di soggiorno scaduto appena tre mesi dopo il suo arrivo. Con lui centinaia di altri migranti, masse di braccia che si spostano da una parte all’altra del Paese, invisibili perché senza documenti, “costretti a sottostare alle condizioni imposte dai capi, perché alternative non ne abbiamo”. Gli chiediamo se è stato un boss a chiamarlo. Lui risponde che i contatti per arrivare qui li ha avuti tramite connazionali, “poi non si sa”. 
Di certo c’è che sono sempre gli stessi, dalla Sicilia alla Calabria alla Capitanata ora anche al Salento, a riempire le campagne del Sud, che si tratti di ortaggi o di pannelli fotovoltaici. C’entra anche la Scu? È su questo che si dovrà tentare di fare luce. A tenere le redini delle indagini è direttamente la Direzione Distrettuale Antimafia e dai palazzi di giustizia nulla trapela. Di matasse da sbrogliare senz’altro ce ne sono. Prima fra tutte quelle dei controlli. I lavoratori sfruttati non hanno usato mezzi termini: loro erano perfettamente a conoscenza dei sopralluoghi che di volta in volta dovevano essere effettuati sugli impianti. I dirigenti della Tecnova avrebbero ricevuto delle telefonate che preannunciavano l’arrivo delle forze dell’ordine, anche quando si sarebbero presentate in borghese. E di conseguenza gli operai si dileguavano in un batter d’occhio. Un particolare gravissimo, che porta a galla intrecci e protezioni in alto, molto in alto, su cui la società avrebbe potuto contare. Ecco perché il giro di vite voluto dalla Prefettura di Lecce è rimasto a metà e il tavolo interforze contro il lavoro nero non ha potuto finora registrare il fenomeno nell’ampiezza e nella gravità della sua intera portata. 
E mentre su Tecnova c’è il fiato sul collo un po’ di tutti, nuove relazioni, nuovi contatti, potrebbero emergere nel giro di pochi giorni. Ad esempio con la Energes, altra sub appaltatrice per conto della Ute Ohl, destinataria di un attentato incendiario che nella notte tra martedì e mercoledì scorso ha mandato in fumo pannelli per un valore di quasi un milione di euro. Il cantiere, stavolta, è quello di Masseria Mezzanotte, a Lecce, su via Vecchia Carmiano. Tasselli che pian piano si aggiungono a quel mosaico di imprese che operano nel bosco e nel sottobosco, complicatissimo da districare, delle energie rinnovabili salentine. E al di là delle responsabilità giudiziarie, ci sono pure quelle politiche da mettere agli atti. Se non della procura, almeno dei cittadini. 
 
Tiziana Colluto