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Il paesaggio del Salento nel “racconto” degli ecomusei diffusi

La conservazione e la valorizzazione del nostro patrimonio archeologico e naturale al centro del  progetto “Sesa”, promosso dall’Università del Salento 
 
Quali e quanti modi esistono per tutelare e raccontare il paesaggio, come bene del nostro vasto patrimonio culturale? Il tema è fra i più attuali ed è al centro del progetto Sesa (Sistema Ecomuseale del Salento), che è coordinato dall’architetto Francesco Baratti e rientra fra le attività di ricerca condotte dai professori Francesco D’Andria e Grazia Semeraro dell’Università del Salento. Il progetto è partito con la riqualificazione dei paesaggi archeologici per poi coinvolgere  le comunità locali, impegnate a partecipare attivamente con le  proprie narrazioni, per identificare e preservare i luoghi della propria memoria, offrendo così nuove letture del territorio di appartenenza e della sua storia. In questo modo si costruiscono mappe identitarie del paesaggio, così come percepito dalle popolazioni, e si crea un’alternativa alla conoscenza del Salento, terra che vive la sua age d’or nel settore del turismo. 
E queste stesse mappe accompagnano l’elaborazione del più ampio e articolato Piano paesaggistico della Regione Puglia. Dagli anni ’90 ad oggi sono stati realizzati interventi di riqualificazione del paesaggio culturale, che hanno portato nel Salento alla realizzazione di numerosi musei diffusi: quello di Cavallino, quello del Castello d’Alceste a San Vito dei Normanni, il Parco dei Guerrieri a Vaste, gli ecomusei di Botrugno, Neviano e Acquarica di Lecce (nella foto). In tutti questi casi l’archeologia ha avuto una funzione di “leva” che ha consentito di riappropriarsi anche del contesto paesaggistico in toto e non per alcune e isolate eccellenze, con l’obiettivo di tutelarlo e valorizzarlo come ambiente di vita. 
Questa diversa impostazione di metodo è il frutto dell’evoluzione stessa del concetto di paesaggio, che corrisponde alle regole imposte dalla Convenzione europea, che impegna gli Stati membri a rivedere le loro politiche in materia di conservazione e valorizzazione. Ecco come, in questa rete museale diffusa, un paesaggio abbandonato quale poteva essere quello dell’area di Vaste a Poggiardo, ora sede del Parco archeologico dei Guerrieri, è diventato un paesaggio culturale capace di trasmettere emozioni e raccontare la storia antica del territorio e della sua gente. Qui l’immaginazione ha consentito di ricostruire le fortificazioni messapiche  modellando una duna in terra su cui hanno trovato posto due torri d’assedio in legno e cinque silhouette in ferro raffiguranti guerrieri messapici a difesa del loro territorio. 
Allo stesso modo, il Museo diffuso di Cavallino è dominato da una piattaforma metallica che permette di avere una veduta d’insieme dell’area archeologica, quasi come si trattasse di un balcone affacciato sulla Storia. E così i percorsi all’interno del Museo non riguardano solo le emergenze archeologiche ma anche il paesaggio rurale  e le trasformazioni operate dagli uomini nel corso dei secoli. Fra gli ecomusei quello  delle Serre salentine di Neviano consente di  esplorare un paesaggio caratterizzato da muri a secco e “furnieddhi”, in una distesa di ulivi secolari. Nei paesaggi di pietra di Acquarica tutto ruota intorno all’area archeologica di Pozzo seccato e alle vicine tombe a grotticella, fra pajare (luoghi di deposito degli attrezzi agricoli), specchie, cave e “strittule” (strade di campagna solitamente occupate da rovi). Ogni ecomuseo diventa quindi  esempio virtuoso di come un’intera comunità, le istituzioni, gli operatori culturali possano collaborare per rendere fruibile il bene paesaggistico, che è come una ricca dote che il territorio può vantare di avere,  ma che deve ancora imparare a conoscere a fondo.
 
Antonella Lippo