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Enza Pagliara: “Fedele alla tradizione e a me stessa, sempre”

Da 15 anni sui palchi di tutto il mondo, la cantante salentina si racconta in occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro discografico, Bona crianza
 
Come il colore rosso rubino dei gerani e quello oro del grano battuto dal sole del meriggio. Come la frescura all’imbrunire tra le file odorose delle piante di tabacco, sotto la luce bella della prima stella della sera, così è l’essenza del canto di Enza Pagliara. Una cascata di emozioni che trasuda i palpiti cangianti di questa terra e che ora in Bona crianza (AnimaMundi edizioni), il suo terzo album, assume i contorni più ironici e spensierati del viver quotidiano o la forma delicata dei ricordi dell’infanzia. 
Bona crianza dà il nome all’album e ad una delle undici tracce racchiuse in esso. A cosa si riferisce tale espressione? 
Bona crianza è da me inteso nel senso di essere riconoscenti alla tradizione. La buona creanza rispetto alla tradizione, l’accostarsi cioè alla musica tradizionale dandole attualità e mantenendo però intatte le caratteristiche che la rendono preziosa, affinchè chi verrà dopo di noi abbia la possibilità di attingere alla fonte della tradizione trovandovi una sorgente ancora pura. Il brano è invece il racconto con cui evoco come erano, quando ero piccola, le mie mattine al risveglio con le mie due sorelle mentre i nostri genitori erano già andati a lavorare in campagna. Nella canzone, infatti, parlo di mia madre che si alzava quand’era ancora buio, e dico: “Se ausa prima cu se ausa lu sule, lucisce prima a casa e poi ddha fore”. Come parlo di mio padre, che ha doti straordinarie, riesce a piantare qualsiasi cosa e a farla fiorire sempre. “E sirma tutte cose sape fare, puru le petre sape fa’ fiurire”. C’è poi il riferimento a Torchiarolo, il paese dove sono cresciuta, a cui sono profondamente legata. Sulle origini del suo nome esistono due significati: il turco incatenato o il torchio che, premendo le olive, faceva venir fuori una sostanza simile all’oro, l’olio. In Bona crianza dico: “Nu turcu cu’ lu pete ‘ncatinatu, nu torchiu ca filava a filu d’oru”. 
Il titolo dell’album, come pure la foto di copertina, evocano un’immagine di limpidezza e di semplicità. È l’effetto da te cercato? 
Quando un canto mi risuona dentro ho voglia di cantarlo, in caso contrario non riesco a farlo. Penso sia questa la limpidezza di cui parli, cioè il non fingere di esser quella che non sono e in questo lavoro, in particolare, avevo bisogno di non fermarmi sugli abbellimenti fini a se stessi, ma di muovermi verso l’essenzialità e la sostanza, dando una forma quasi naturale al canto. 
Mi parli del brano O’ andramu pai (Klama)
Il testo è di Franco Corlianò. In Italia è conosciuto come Klama, in Grecia come O’ andramu pai ed è un pezzo molto amato e diffuso lì. Lo cantava Maria Farantouri dopo il periodo dei Colonnelli, per loro è un canto partigiano come da noi Bella ciao. Il fatto che lo abbia scritto un nostro amico di Calimera mi emoziona e inorgoglisce molto. 
Immaginiamo di dispiegare il filo del tempo, partendo dal 2002 con Donna de coppe, passando al 2009 con Frunte de luna, fino a oggi. Che tipo di metamorfosi c’è stata, se c’è stata, in te e nella tua musica? 
In Donna de coppe ero acerba e il modo di affrontare e di cantare i brani era quello di esser assolutamente fedele alla tradizione. Mentre in Frunte de luna è stato esser fedele alla tradizione, ma anche a me stessa. Ho fatto, cioè, un passaggio ulteriore, portare queste cose dentro di me e farle uscire con la mia voce vera. Ovviamente sono tappe di vita. Nel 2002 ero più piccola, quando è uscito Frunte de Luna ero cambiata e avevo la forza di far sentire chi ero e cosa volevo dire. Bona Crianza è per certi versi un lavoro di transizione tra i due. 
Vorrei volare è un omaggio, straordinariamente intenso, al grande Uccio Aloisi? 
Sì. Mi sono innamorata di questo brano per il modo in cui lo cantava Uccio, la poesia che ci metteva nel farlo è bellissima. La mia è una maniera di ricordare lui, la sua poesia e la semplicità con cui lo proponeva. Vorrei volare ha un modo di esser cantato così semplice e orecchiabile. Ciò che lo rende prezioso è proprio la sua semplicità, insieme alla verità che ci si mette dentro; se quello che dici attraverso le sue strofe ce l’hai dentro, gli altri lo vedono. Io ho scelto quelle che dentro di me risuonano in un certo modo proprio per continuare a ricordare Uccio. 
 
Claudia Mangione