Cerca

Da Lecce arriva una spugna che assorbe il petrolio separandolo dall’acqua

Una buona notizia per l’ambiente: nei laboratori dell’Istituto di Nanotecnologie è nata un’invenzione che può limitare pericolosi disastri ambientali 

 

Una spugna in grado di assorbire il petrolio separandolo dall’acqua: è l’ultima “trovata” del Centro per le Nanotecnologie Biomolecolari dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Lecce. È un’importante scoperta che può fornire una soluzione nuova e soprattutto “ecologica” al problema dell’inquinamento causato da incidenti navali o industriali. Basti pensare, ad esempio, a quello che accadde nel 2010 in Messico, quando fiumi di petrolio furono sversati in mare provocando un disastro ambientali di notevoli dimensioni. 

E la possibile soluzione a questi problemi arriva proprio da Lecce. La dottoressa Athanassia Athanassiou (nella foto) ha coordinato il gruppo di studiosi che si è occupato di questo progetto e racconta così il lavoro realizzato: “Abbiamo usato come materiale di partenza comuni spugne naturali a base di schiuma di poliuretano che si trovano in commercio. È stato decisivo il complesso trattamento: il rivestimento di nano-particelle consente alle spugne di essere permeabili agli oli e assorbire una quantità di sostanza oleosa fino a 13 volte il loro peso. Tutto senza raccogliere nemmeno una particella d’acqua”. 

Pertanto, se qualcuno crede che per realizzare il tutto siano necessari materiali particolari e costi di produzione elevati, si sbaglia. Per fare la spugna “miracolosa” sono sufficienti pochi materiali a basso costo e alcuni processi nanotecnologici facilmente riproducibili su scala industriale. Il primo “ingrediente” da utilizzare è la schiuma di poliuretano, materiale di solito usato per il confezionamento degli imballaggi. Con opportuni trattamenti (nanoparticelle di ossido di ferro e di teflon) il poliuretano acquisisce le proprietà magnetiche che gli consentono di assorbire oli senza acqua. Il procedimento che porta alla realizzazione della spugna si compone quindi di due fasi: il trattamento del poliuretano con ossido di ferro e la lavorazione finale della spugna mediante particelle di teflon. 

Nei mesi scorsi questa notizia ha fatto il giro del mondo: il nome del prestigioso istituto leccese (e, di conseguenza, quello dell’ateneo salentino) è finito ancora una volta tra le pagine delle riviste scientifiche internazionali. Pur nella crisi che attraversa il mondo dell’istruzione, c’è un territorio che continua a fare il tifo per la ricerca che nasce e si sviluppa nel Salento. Ed invita ad andare avanti e, è proprio il caso di dirlo, a non gettare la spugna. 

 

Stefano Manca