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“Ci hanno fatto le scarpe”

Il Gruppo Adelchi ha avviato le procedure di mobilità per 720 operai a partire dal 1° gennaio 2012. Sembrano dunque crollare definitivamente le speranze dei lavoratori, dopo anni di cassa integrazione in deroga, promesse di piani di risanamento mai attuati e battaglie in difesa del posto di lavoro. E mentre le istituzioni sperano ancora in una soluzione positiva della vicenda esplode la rabbia dei cassaintegrati: “Sindacati e politici ci hanno abbandonati!”
 
Per qualcuno è stato addirittura un fulmine a ciel sereno. Il Gruppo Adelchi chiede il licenziamento collettivo per 720 operai e lo fa proprio in gran stile, con una lettera giunta nella sede dei sindacati, guarda caso, tra venerdì sera e sabato mattina scorsi. Un gesto irresponsabile, lo ha definito qualche politico. Normale prassi, per le organizzazioni sindacali. L’Adelchi ha già usufruito di tutti gli ammortizzatori sociali ordinari e non, entro il termine dei quarantacinque giorni prima della scadenza avrebbe dovuto comunque dare questa comunicazione. La prospettiva è la collocazione in mobilità del personale. Qual è la differenza? Nella cassa integrazione è insito un barlume di speranza di uscita dalla crisi e il mantenimento del posto di lavoro. Nella mobilità, invece, è insito il licenziamento certo (scusate se è poco). 
Contemporaneamente, però, è successo anche qualcos’altro. La richiesta di concordato preventivo per il ripianamento dei debiti aziendali è stata accordata dal tribunale civile. Tradotto, niente fallimento, il piano per far uscire i conti dal tunnel del rosso fisso ci sarebbe. E, dunque, che si fa? Dovrebbe essere questo l’appiglio per tenere in piedi il Gruppo. 
Ma tenerlo in piedi per che cosa? Non perchè continui a produrre qui. È da quasi tre anni che a Tricase non viene partorito un solo paio di scarpe, che non siano i modelli forgiati dalla “Sergio’S” a Specchia. Tutto il resto in Bangladesh, Albania, Etiopia. D’altronde, ancora più chiaro aveva parlato il bilancio 2008 della Nuova Adelchi Spa, chiuso con una perdita netta di 30 milioni di euro. “In mancanza del sostegno bancario -c’era scritto- l’azienda è destinata a diventare una società di servizi a produttori stranieri (di Bangladesh e Albania), che ricevono da questa azienda il know how che consente loro di produrre e commercializzare direttamente verso l’abituale clientela di questa società”. 
E, dunque, che si fa, dicevamo? Sindacati e politica intendono trascinarsi dietro il Gruppo, quanto più a lungo possibile, perchè sia ancora in vita quando, chissà quando, entrerà a regime l’accordo di programma del 2008. Lo strumento, concepito per la crisi della Filanto e che dovrebbe raccogliere e finanziare tutte le manifestazioni di interesse di aziende propense a reimpiegare i cassaintegrati, lo si vorrebbe estendere all’area tricasina. Il ministro Paolo Romani ha già, mesi fa, storto il naso. Sono solo tre, infatti, le società giudicate idonee che forse avranno diritto a finanziamenti. Ma fino a questo momento un solo lavoratore non è stato riassorbito. E non c’è spazio per i grandi numeri, intendiamoci, per adesso le prospettive riguardano un centinaio di lavoratori. 
Eppure, per quanto inconcludente, l’accordo di programma sembra essere l’unica speranza per gli operai Adelchi. E che sia l’unica è tristissimo. E che sia l’unica non per avere un altro lavoro ma per avere ancora cassa integrazione è allucinante. Perché finora l’ammortizzatore sociale non ha fatto altro che “drogare” un intero territorio, assopire creatività e lotte, 800 euro al mese per mettere a tacere proteste e bisogni. Che riemergono, quando quegli euro stanno per finire. 
Nessuno nel frattempo ha seminato nulla in questo deserto del lavoro. Che nessuno venga a dire di aver seminato altro che vento. Agli operai spetta, come sempre, raccogliere tempesta.
 
Una tragedia che parte dal 2002
 
I lavoratori del Tac (tessile, abbigliamento, calzaturiero) sono sempre stati sul piede di guerra. Il malcontento degli operai del Gruppo Adelchi parte da lontano e man mano che trascorreva il tempo,  il futuro lavorativo si è annebbiato sempre di più. 
Le prime avvisaglie della crisi iniziarono nel 2002, dopo gli “anni d’oro” dal 1996 al 1998, ma fu soprattutto nei primi mesi del 2009 che esplose la crisi, quando scattò la cassa integrazione per 240 operai, con la conseguente riduzione del ciclo produttivo dell’azienda. Poi la protesta eclatante il 23 settembre del 2009, con sei operai che occuparono il tetto di Palazzo Gallone mentre i loro compagni allestirono un presidio permanete in piazza Pisanelli. 
Il 1° ottobre dello stesso anno la tensione è alle stelle e una cinquantina di lavoratori “conquistarono” la sala consiliare facendo saltare anche il Consiglio comunale. Il giorno successivo patron Adelchi presenta il Piano di Rilancio dell’azienda e il presidente della Provincia Antonio Gabellone, convoca un tavolo di confronto con il titolare della fabbrica, sindacati e lavoratori. Il destino rimane incerto poiché il reintegro in fabbrica, entro il 2012, è previsto solo per 290 lavoratori, mentre per gli altri 490 il destino sembra segnato.
Da allora si sono susseguiti incontri al Ministero del Lavoro, Regione, Prefettura, Provincia e Comune per cercare un confronto con l’azienda e per verificare se le paure denunciate dai lavoratori fossero fondate. Infine, nei giorni scorsi le lettere di licenziamento per 720 dipendenti, facendo rimanere in attività lavorativa solo 70 operai dell’ultima azienda nata, la “Sergio’S”. 
 
Tiziana Colluto