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Narcisisti, onnipresenti, disadattati, ma soprattutto odiatori e frustrati digitali: queste, secondo la rivista “Psicologia contemporanea”, sono le principali categorie di “leoni da tastiera” che, sempre più diffusi, dispensano ostilità nei commenti sui profili e sui gruppi Facebook, come sa bene il sindaco di Lizzanello che nei giorni scorsi ha querelato ben 30 suoi concittadini per gli insulti subiti 

 

“Lei è un webete”. Correva il 24 agosto 2016 ed Enrico Mentana, direttore del Tg di La7 e, apostrofava così sul suo profilo Twitter un commentatore nelle ore successive al terremoto che aveva colpito il centro Italia. Una crasi perfetta ed efficace tra ebete e web, diventata ben presto neologismo con il marchio ufficiale dell’Accademia della Crusca e che molto probabilmente sarebbe piaciuta a Umberto Eco. Proprio l’autore de Il nome della rosa, qualche anno prima, in modo profetico aveva affermato che “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”. 

Internet e i social network ne sono una testimonianza: hanno sicuramente azzerato le distanze, permettendo a gente lontana fisicamente di entrare in contatto e intessere relazioni. Tuttavia, sembra saltato il filtro della riflessione, della ricerca critica che lascia il posto all’affannosa rincorsa dell’opinione personale a prescindere, del tifo disorganizzato e fazioso che spulcia sul web alla ricerca di conferme della propria tesi, denigrando e offendendo ogni principio di autorevolezza al di fuori dalla propria. Il web e i social network hanno creato in noi una triplice suggestione: quella di dover avere un’opinione su tutto, quella che le nostre opinioni siano particolarmente intelligenti e quella di doverle necessariamente condividere con il resto del mondo. Peccato che nessuna di queste tre cose sia vera. Ne vien fuori un saloon da Far West di cui siamo (o perlomeno pensiamo di essere) tutti attori più o meno protagonisti. 

Negli ultimi tempi il fenomeno dei “leoni da tastiera” è in costante crescita tant’è che la rivista specializzata “Psicologia contemporanea” ha tratteggiato i profili dei cosiddetti “seminatori di odio”, da cui emerge un panorama intriso di cattiveria, assenza di empatia e razzismo che è sotto gli occhi di tutti: c’è il narcisista, caratterizzato da “onnipotenza, megalomania ed egocentrismo”; c’è l’onnipresente, che è convinto che il mondo si regga fondamentalmente sui propri post; oppure il disadattato, vale a dire colui/colei che si vede circondato da cybernemici da combattere. Poi c’è l’odiatore (o, per dirla all’inglese, l’hater), cioè chi passa gran parte del proprio tempo libero ad attaccare e offendere gli altri, meglio se personaggi pubblici. Infine, c’è il frustrato digitale, in sintesi quello che vorrebbe essere un “leone da tastiera”, ma in realtà è molto meno coraggioso. Insomma, un carnevale di maschere che, purtroppo, non tiene conto di leggi e regole che valgono per Facebook, quanto per il mondo reale. E che porta a conseguenze legali spesso drammatiche. 

 

Virtù private e pubblici vizi 

 

La diffusione di continue offese tramite social network è in crescita, colpa sia di una mancanza di addestramento ai nuovi mezzi di comunicazione, sia di un confine labile tra ciò che è pubblico e ciò che è privato. Ne abbiamo parlato con il professor Stefano Cristante, docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università del Salento, secondo cui “la logica dell’odio online, del creare una gogna effettivamente è un fenomeno che ha delle dimensioni allarmanti, ma l’unico effetto che sta sortendo è che coloro che si sentono presi di mira stanno uscendo dal network. La sociologa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann ne La spirale del silenzio afferma che se uno si rende conto che le proprie opinioni sono quelle di una minoranza, anziché dibatterle nella sfera pubblica tende al silenzio e il silenzio si interrompe solo quando una possente serie di eventi ha portato a una nuova maggioranza”. 

Quali sono, quindi, le cause che determinano questa sorta di recrudescenza di certe forme verbali nelle discussioni su Facebook? “Per arrivare all’odio ci sono dei passaggi: innanzitutto c’è la disabitudine nella scrittura (la velocità dei nuovi media unita a una mancanza di addestramento fa il resto). C’è poi la dinamica pubblico-privato che non è affatto da sottovalutare: la virtualità fa parte della vita reale, non sono due vite contrapposte, ma mescolate. C’è chi interpreta la propria bacheca come fosse una casa propria e, se scrivi una cosa critica su una bacheca che non è la tua, si comporta in maniera stigmatizzante, togliendoti l’amicizia. Le gradazioni si vanno avvicinando all’odio quanto più aumenta l’idea di un’efficacia nell’aggressione. Se il branco anziché trovare una singola persona, si trova di fronte a cinque o sei persone in grado di difendersi scappa, viceversa se trova una preda facile si crea accanimento”. 

In tutto questo la politica cerca di adattarsi ai tempi che corrono, ma ben presto quello che oggi conosciamo come social media potrebbero diventare ben altro: “Siamo alla preistoria della comunicazione politica digitale, sono anni di adattamento. Fra 4-5 anni la situazione potrebbe cambiare radicalmente. Non dobbiamo affezionarci troppo ai social media -conclude Cristante-: come per il vinile, ci sarà anche in futuro un gruppo di persone che deciderà di approfondire le questioni attraverso i giornali della carta stampata piuttosto che di quelli online”.

 

Alessio Quarta