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“Andrea ha ottenuto giustizia”

Il commovente ricordo di Salvatore Antonaci, padre di Andrea, che in questa intervista esclusiva ci ha raccontato le fasi di questa lunga battaglia legale durata oltre dieci anni 

 

L’amore per un figlio è forse la maggior fonte di energia che permette ad un genitore di affrontare le prove più difficili che il destino può aver riservato. Ed è questa la forza che in più di dieci anni è stata messa in campo da Salvatore Antonaci per rendere giustizia a suo figlio Andrea, il sottoufficiale di Martano morto nel 2000 a soli 26 a causa del linfoma di Hodgkin, dopo essere tornato da una missione di pace in Bosnia. E dopo anni di battaglie, i suoi sforzi sono stati finalmente premiati; il Tribunale Civile di Roma ha infatti riconosciuto negli scorsi giorni il rapporto di causa-effetto tra la malattia contratta dal giovane salentino e l’utilizzo dell’uranio impoverito nelle operazioni richieste in missione. “Si ritiene l’esistenza di un nesso causale tra la patologia contratta e l’esposizione all’uranio impoverito in occasione del servizio prestato in Bosnia”, così recita la sentenza, destinata a fare giurisprudenza, con la quale il Tribunale ha condannato il Ministero della Difesa a risarcire la famiglia di Andrea con una somma intorno al milione di euro. Una storia che ha colpito anche l’Amministrazione comunale di Martano che ha intitolato al giovane Andrea una villetta nel 2005. E con lo stesso amore che si può provare per un figlio, Salvatore Antonaci apre il suo cuore e ci racconta la sua storia.

Salvatore, cosa ha spinto suo figlio ad arruolarsi nell’esercito?

Ad Andrea piaceva l’attività di geometra e aveva una fortissima passione per le carte geografiche e desiderava arruolarsi a Firenze per visitare la sede della De Agostini, tra i massimi esperti nella realizzazione di mappe e carte geografiche. Seguì quindi per un anno un corso per sottoufficiali a Viterbo, a cui poi seguì un certo periodo di specializzazione. Risultò tra i primi del suo corso ed esaudì questo suo sogno.

Quando è iniziato il calvario della vostra famiglia?

Tutto cominciò nel giugno del 1999. Andrea era partito per la Bosnia il 1 settembre 1998 e aveva fatto ritorno a casa il 29 febbraio 1999. Al ritorno della missione non venne sottoposto alle visite di controllo presso l’ospedale militare, come invece era previsto; decise così di andare a Firenze per un controllo al Policlinico di Careggi, in vista anche di un week-end al mare che aveva organizzato con la sua fidanzata. Quella visita rilevò qualche anomalia e dopo un breve periodo di tempo venimmo a sapere che Andrea era affetto dal linfoma di Hodgkin.

Come avete agito da quel giorno? Avete subito pensato all’uranio impoverito come causa della malattia?

Questa battaglia venne intrapresa da mio figlio che aveva saputo dei rischi dell’uranio impoverito da alcuni suoi colleghi statunitensi. Da lì è cominciato il nostro percorso legale, mentre nel frattempo Andrea si sottoponeva a diversi cicli di chemio e radioterapia. Il 13 novembre 2000 decise di rivolgersi alla trasmissione “Striscia la Notizia”; in quell’occasione raccontò la sua storia e lanciò l’allarme sulla pericolosità dell’uranio impoverito. Da allora, la questione inerente i rischi derivanti dall’utilizzo di questo materiale divenne di pubblico dominio, ma tuttavia passò un po’ sott’ordine. Un mese dopo la messa in onda di quel servizio, il 12 dicembre 2000 Andrea ci ha lasciati: solo allora i mezzi di comunicazione hanno dato il massimo rilievo alla nostra storia e ai pericoli celati nell’uranio impoverito.

Lei ha continuato la battaglia che aveva intrapreso suo figlio e che è finalmente giunta a questa sentenza del Tribunale. In tutti questi anni, quali sono stati gli atteggiamenti delle istituzioni nazionali, in particolar modo il Ministero della Difesa?

Dopo la morte di Andrea, per 12 anni sono andato su e giù per l’Italia, soprattutto a Roma, per sostenere quelle che erano le convinzioni di mio figlio, e cioè che la sua malattia era la conseguenza dell’inalazione delle polveri di uranio impoverito. Il Tribunale ci ha dato ragione nonostante gli ostacoli posti dai vari rappresentanti ed esponenti del governo. Il Ministero, addirittura, affermava che mio figlio durante la missione aveva sempre lavorato in ufficio, mentre poi si è scoperto che aveva prestato la sua attività nella ricostruzione dell’Università e dei ponti, strutture abbattute proprio dai proiettili all’uranio impoverito, le cui polveri erano entrate in contatto con l’organismo di Andrea. 

Andrea e i suoi compagni erano consapevoli dei rischi a cui potevano andare incontro svolgendo il proprio lavoro in quelle condizioni e senza precauzioni?

No, non lo erano. Lo stesso ministro dell’epoca disse che l’Italia non era mai stata informata dell’uso di questo materiale nella zona dei Balcani, ma fu smentito dalla stessa Nato che dimostrò con documenti ufficiali come il nostro paese fosse a conoscenza dell’esistenza di quei particolari proiettili. Inoltre, dopo la morte di Andrea, scrissi anche al Presidente delle Repubblica per chiedere il riconoscimento da parte dello Stato di quanto avvenuto a tutti quei ragazzi che hanno vissuto lo stesso dramma di mio figlio, ma risposero che la mia richiesta non era prevista nelle leggi del Corpo dello Stato. Le istituzioni ci lasciano da parte purtroppo.

Da più parti si è insinuato che la responsabilità della malattia contratta da Andrea fosse da imputarsi alle eccessive vaccinazioni. Come ha reagito in merito?

Anche in questo caso mi ha deluso il comportamento delle istituzioni. La stessa Commissione d’inchiesta sta tentando di portare la vicenda su questa strada e anche nell’ultima occasione l’accento è stato posto più sui vaccini che sui pericoli dell’uranio impoverito. Ciò che però mi ha più deluso è il mancato invito da parte della commissione di un rappresentante dell’Osservatorio militare, il primo organo a parlare dei rischi dell’uranio impoverito e che si è battuto anche per Andrea. Non nego che i tipi di vaccini di cui parla la commissione possano avere anche degli effetti negativi sulla salute dei militari, ma l’attuale sentenza del tribunale si basa su prove concrete.

Dopo quel 12 dicembre 2000, lei ha dato anima e corpo nella lotta ai tumori tanto da diventare il referente della Lilt per Martano. Cosa ha portato questa collaborazione?

Nel 2001 abbiamo aperto a Martano un ambulatorio di prevenzione dei tumori con la Lilt di Lecce. La sede, che è stata intitolata a mio figlio, è nata grazie ai fondi raccolti in occasione del funerale di Andrea su suggerimento dell’oncologo Giuseppe Serravezza, presidente provinciale della Lilt, a cui va il merito di averci accompagnato nella battaglia a favore di Andrea e che ha controbattuto la tesi della Ctu (la perizia tecnica del Ministero), che sosteneva che la malattia di mio figlio non fosse imputabile all’uranio impoverito. Serravezza ha preso la cartella di Andrea, l’ha esaminata e da allora stiamo offrendo aiuto e sostegno anche ad altre famiglie.

Ha detto di aver viaggiato tanto per la causa di sua figlio. Quali viaggi le sono rimasti maggiormente impressi? 

Ho partecipato alla trasmissione di Rai 1 “La Vita in diretta” per raccogliere fondi necessari per andare a Parigi e permettere a mio figlio di sottoporsi ad una trasfusione di midollo osseo e con l’Osservatorio militare avevamo anche pensato ad organizzare una sottoscrizione. Ricordo poi il viaggio per parteciapre alla trasmissione “Omnibus” di La7 con Antonello Piroso, occasione nella quale ebbi modo di confrontarmi con un importante generale dell’Esercito Italiano che però ha tenuto un atteggiamento non collaborativo. Io però non mi sono mai fermato.

Che messaggio vuole lasciare in ricordo di suo figlio?

Parlo con la morte nel cuore, ma voglio lasciare un messaggio positivo. La sentenza del tribunale rappresenta solo una prima vittoria di questa battaglia, perché verosimilmente il Ministero presenterà i suoi ricorsi, ma resta comunque un segnale importantissimo. A noi interessa che la morte di Andrea non sia stata vana, perché significherebbe d’ora in poi attuare nuove e maggiori misure di controllo per i militari che vanno in missione, nonché dare ancora speranza a quei ragazzi e a quelle famiglie che stanno vivendo la stessa storia nostra e di Andrea. Prima di questa sentenza, Andrea si manifestava nei miei sogni due giorni prima di un importante incontro; sembrava volesse dirmi “preparati a combattere”. Un giorno spero di poter scrivere queste mie emozioni per rendere il giusto omaggio a mio figlio. 

 

(A.C.)