Il Ministero dell’Ambiente ha fatto un regalo speciale di fine estate a noi salentini, autorizzando la multinazionale Global Med ad effettuare ricerche petrolifere al largo del Capo di Leuca mediante l’utilizzo dei famigerati air gun, in grado di arrecare gravi danni alla flora e alla fauna marina. Intanto amministratori locali, pescatori e ambientalisti si preparano ad una nuova battaglia in difesa del territorio
Era inevitabile, dopo il fallimento del referendum abrogativo del 17 aprile 2016. Ma il decreto emesso dal Ministero dell’Ambiente lo scorso 31 agosto è stato accolto da gran parte del territorio salentino come una vera doccia fredda. Il dicastero ha infatti concesso la Valutazione d’Impatto Ambientale alla domanda presentata dalla società americana Global Med di compiere ricerche petrolifere al largo del Capo di Leuca. La compagnia d’oltre oceano potrà quindi effettuare le proprie rilevazioni su un’area di circa 744,6 chilometri quadrati, coinvolgendo i comuni di Otranto, Santa Cesarea Terme, Castro, Diso, Andrano, Tricase, Tiggiano, Corsano, Gagliano del Capo, Castrignano del Capo, Patù, Morciano di Leuca, Patù, Alliste, Racale, Ugento, Taviano e Gallipoli.
Le attività autorizzate alla Global Med consisteranno nella verifica della presenza di petrolio all’interno del fondale marino attraverso la tanto discussa tecnica dell’air gun; si tratta di cannoni ad aria compressa che lanciano delle onde sottomarine le quali a loro volta producono onde riflesse attraverso le quali è possibile stabilire la composizione del sottosuolo; un’attività d’indagine in 2D, cioè bidimensionale, chiamata anche “crociera sismica”. Lo stesso nome inquieta un po’ su quegli che possono essere i suoi effetti -ampiamente dimostrati- sull’ambiente marino, sia flora che fauna e, conseguentemente, anche la pesca.
La Provincia di Lecce ha già annunciato che presenterà ricorso contro il decreto ministeriale e probabilmente non sarà l’unica a farlo. Le prospettive, però, sono tutt’altro che ottimistiche, considerando l’istanza approvata della Global Med (chiamata d89 FR GM) è solo una delle tre richieste presentate dalla società americana; le altre due sono tutt’ora al vaglio, in particolare la d90 FR GM, che riguarda un’area di 749 chilometri quadrati attigua a quella inserita nella prima istanza; la terza, anch’essa in fase di approvazione, è rivolta al territorio calabrese.
La Global Med non è però l’unica compagnia interessata a indagare il fondale marino salentino alla ricerca dell’oro nero, considerato però dagli esperti scarso sia in quantità che qualità; diverse multinazionali, anche italiane, hanno messo gli occhi sull’intero litorale pugliese, dal Gargano fino al Golfo di Taranto. Tante domande di prospezione che hanno altissime probabilità di approvazione e che, di conseguenza, inserirebbero l’intera regione in una sorta di “gabbia del petrolio”, con buona pace delle tante ragioni a sostegno dell’inutilità e dannosità di queste attività.
Tre anni di guerra contro le trivelle
Non che fosse una decisione attesa, ma il decreto con il quale il Ministero dell’Ambiente ha accettato la prima delle due istanze presentate dalla Global Med LCC era una ipotesi concreta. Questo faceva d’altronde presagire il fallimento del referendum abrogativo sulle trivelle del 17 aprile 2016: il quesito chiedeva agli italiani di decidere se i permessi rilasciati per estrarre idrocarburi fino a 12 miglia dalla costa dovessero durare fino all’esaurimento dei giacimenti, come da legge, oppure fino al termine della concessione; in caso di vittoria del “sì”, le società operanti avrebbero dovuto smantellare le proprie piattaforme una volta scaduta la concessione. In quell’occasione il “sì” ebbe una vittoria netta (86% contro 14% del “no”), ma si trattò di un successo effimero, perché il quorum del solo 31% rese nullo il risultato.
Puglia e Basilicata, le regioni maggiormente interessate dall’argomento, furono quelle con l’affluenza più alta, ma solo la seconda ottenne il quorum minimo del 50% previsto dalla legge. In sostanza non vinse il “sì”, ma l’astensionismo. A nulla valse l’informazione sui pericoli per l’ambiente marino, sui miraggi economici delle royalties e dell’indipendenza energetica, sulla scarsa qualità e quantità del petrolio presente o sulla scarsa attenzione riservata dal Governo italiano alle energie rinnovabili.
L’interesse delle società petrolifere verso il Salento non è però una novità: nel 1993 venne scoperta al largo del Canale d’Otranto il campo petrolifero “Aquila”, il primo giacimento italiano in acque profonde. La Global Med, invece, palesò il suo interesse nell’ottobre 2014, quando presentò ufficialmente la richiesta di effettuare delle prospezioni al largo del Capo di Leuca; fu allora che nacque il Movimento No Triv Regione Salento e che vennero messi in luce la tecnica dell’air gun e i suoi possibili rischi, oltre ai pericoli per l’ecosistema marino. In quell’occasione, inoltre, i sindaci dei 19 Comuni ai quali pervenne la richiesta di prospezioni proposero, di contro, la creazione di un’area marina protetta; quella presa di posizione rappresentò anche un tentativo di contrastare il decreto “Sblocca Italia” dell’allora Governo Renzi, che inserisce le trivellazioni tra gli interventi strategici per lo sviluppo del paese. Oggi, Tutti coloro che sono contrari alle ricerche petrolifere sul fondale salentino si apprestano a combattere una nuova e più difficile battaglia.
Le multinazionali alla conquista del mare pugliese
L’ultima compagnia ad aver ricevuto le autorizzazioni alle prospezioni, prima della Global Med, è stata la statunitense Global Petroleum (ottobre 2016), che potrà così iniziare le sue attività su circa 150mila ettari di mare tra Bari e Brindisi. Sono però numerose le compagnie in attesa di permessi, come la norvegese Spectrum Geo, interessata addirittura a tutto l’adriatico pugliese, dal Gargano a Santa Maria di Leuca, per un totale di oltre 16mila kmq.
Oslo è anche sede principale della Petroleum Geo-Service Asia Pacific, che ha presentato istanza per i circa 14mila kmq compresi tra Bari e Leuca; il territorio compreso tra Monopoli e Otranto fa invece parte delle strategie della britannica Northern Petroleum, il cui interesse per il mare pugliese non è per nulla nuovo.
La Schlumberger Italia, sede nazionale della compagnia petrolifera statunitense, ha invece puntato gli occhi sul Golfo di Taranto fino al largo di Gallipoli, Ugento e Leuca, per un totale di circa 4mila kmq; zona più limitata quella per la quale ha fatto richiesta l’italiana Enel Longanesi Developments, interessata alla porzione del Golfo di Taranto davanti Gallipoli e Nardò. Restando in ambito nazionale, anche Shell Italia ha mostrato interesse per il Golfo di Taranto, ma in caso di autorizzazione hanno fatto sapere non verrà utilizzata la tecnica dell’air gun.
Alessandro Chizzini