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Voti a rendere

Il Giudice del lavoro ha dato ragione ad un professore di matematica di un istituto superiore di Casarano, sanzionato ingiustamente 5 anni fa dal dirigente scolastico per aver dato voti molto bassi ai suoi studenti perché incapaci persino di risolvere test destinati ad alunni di scuola elementare. Questa sentenza evidenzia la triste realtà del nostro sistema scolastico in cui, come confermano i sindacati, i docenti sono spesso indotti a promuovere o dare voti più alti dai genitori (per paura di perdere prestigio sociale) e dai presidi (per mantenere un numero alto di iscritti e dunque di finanziamenti pubblici) 

 

Per anni il concetto di meritocrazia è stato uno spot retorico di cui molte volte, purtroppo, si è abusato. La domanda allora, come si suol dire, sorge spontanea: in questo lasso di tempo della modernità abbiamo dato un reale, effettivo, concreto valore alla parola meritocrazia? E come si misura in caso il merito?

A scuola, ad esempio, si usa una votazione decimale. O almeno si dovrebbe. Laddove per decimale si intende una scala di valori che va da 0 a 10. Quello che, tuttavia, racconta la cronaca di questi giorni, rimbalzata anche sui principali media nazionali, è la storia di un ex docente di un istituto tecnico commerciale di Casarano, penalizzato in prima istanza per aver dato voti troppo bassi ai suoi alunni. Dieci giorni fa, a distanza di cinque anni, il Giudice del lavoro di Lecce gli ha dato ragione, annullando la sanzione disciplinare che gli era stata inflitta dal dirigente scolastico, obbligando la scuola a pagare le spese legali. 

Ma cos’era successo all’epoca dei fatti? “Quando sono entrato per la prima volta nell’istituto di Casarano -ha raccontato il docente che preferisce restare anonimo-, ho sottoposto i ragazzi di prima superiore ad un test matematico che viene proposto dal Miur per bambini di IV e V elementare Volevo valutare le loro condizioni di partenza e per evitare polemiche ho usato quesiti riconosciuti, non inventati da me. Ma i risultati sono stati imbarazzanti, i ragazzi non erano in grado di rispondere a domande semplicissime: così ho messo loro voti bassi, come meritavano”. E a fine anno il debito scolastico in matematica ha interessato 114 studenti su 185. 

Sono quindi fioccati gli 1 e i 2, generando una sorta di timore generalizzato, con gli studenti costantemente in protesta, i genitori che manifestavano il disagio al dirigente, dispetti, rimostranze, veri e propri boicottaggi che hanno spinto il docente ad adire le vie legali. La sentenza, alla fine, ha dato ragione a lui che nel frattempo ha cambiato istituto, mentre alla scuola toccherà sobbarcarsi l’onere delle spese legali, a carico della pubblica amministrazione. Nessun risarcimento, invece, andrà al docente che ora insegna in un altro istituto.

Ne è venuta fuori, al di là dell’intransigenza specifica, un’immagine anni luce lontana dall’obiettivo della “buona scuola” di renziana memoria, dove il numero di iscritti e di promossi prevale sulla effettiva qualità dell’apprendimento. “Non si possono bocciare più di 6-7 ragazzi all’anno altrimenti non si formano le classi successive -ha spiegato il professore-. Le scuole devono avere un nome solido per potersi permettere di bocciare, altrimenti si fanno terra bruciata intorno. E la stessa cosa vale per i professori”.

 

Buona scuola? Magari…

 

Lungi dal fare di tutta l’erba un fascio, in un sistema scolastico che ha numerose eccellenze, con maestri da Nobel e allievi modello, la sentenza recente del Giudice del lavoro di Lecce, che ha annullato la sanzione disciplinare (nella fattispecie una sospensione dal servizio di due giorni) inflitta al professore di matematica di un istituto commerciale di Casarano perché metteva voti troppo bassi, accende le luci su alcune problematiche legate al mondo della scuola che permangono nonostante il battage istituzionale sull’avvio della cosiddetta “buona scuola”.

Primo fra tutti il circolo vizioso, che in teoria dovrebbe essere virtuoso, legato al rapporto tra prestigio di un istituto e numero di promossi, derivante dalle buone performance degli studenti nel corso dei rispettivi percorsi di studio. Su questo punto l’opinione del docente assolto è netta e svela il vaso di Pandora: “Non si possono bocciare più di 6-7 ragazzi all’anno altrimenti non si formano le classi successive: un tempo accadeva e nessuno si scandalizzava, oggi sarebbe impensabile -ha precisato il docente-. I professori che, come me, mettono voti reali vengono guardati male e costretti a giustificare ogni virgola, per cui quasi tutti si adattano mettendo sufficienze anche a chi non se lo merita. Dopo molti anni ho capito che non si possono valutare davvero i ragazzi per quello che valgono, e quindi spingerli a lavorare e studiare di più: se tutti gli studenti avessero i voti che meritano, non verrebbe promosso più del 20%”. 

Ne viene fuori che il grado di preparazione non è sempre quello ottimale, anzi lo è raramente, con ragazzi che vengono premiati al di là del loro effettivo valore. Insomma la quantità spesso prevale sulla qualità della conoscenza trasmessa e, soprattutto, acquisita. Pazienza se negli anni si verrà a creare un divario culturale che potrebbe pesare sulle sorti di questo Paese. 

E poi c’è l’altra nota dolens: la pressione psicologica esercitata da genitori dei ragazzi e dirigenti scolastici per evitare il più possibile le bocciature; gli uni per una sorta di prestigio sociale, gli altri perché vedrebbero declassati i propri istituti, con un abbassamento delle iscrizioni (qualora le famiglie sapessero di comportamenti intransigenti e rigidi da parte di qualche docente) e un conseguente calo di contributi pubblici per gli stessi istituti. In mezzo a tutto questo coacervo prova a farsi largo, a sgomitare, la scuola migliore, quella dell’impegno, del sacrificio, della passione, quella della speranza che qualcosa di buono si possa ancora fare. 

 

Alessio Quarta