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La nuova guerra degli italiani

24 agosto 2009: nei pressi di Ferah in Afghanistan, intorno alla mezzanotte, un ordigno esplode al passaggio di un mezzo blindato di pattuglia. Incolumi i soldati italiani all’interno del veicolo. Dopo poche ore i parà della Folgore sono nuovamente assaliti da ribelli talebani con armi leggere e lanciarazzi, anche in questo caso i nostri hanno la meglio. Due attacchi nel giro di poche ore (nella stessa zona dove, appena un mese fa, il parà Alessandro Di Lisio venne ucciso da un ordigno rudimentale) lasciano spazio a pochi dubbi: l’escalation della violenza talebana in questo territorio strategico per il traffico dell’oppio sembra essere inarrestabile e i nostri soldati sono pienamente coinvolti.
La parola guerra è opportunamente evitata, ma di fatto è difficile parlare ancora di una missione di pace in Afghanistan. Lo stesso ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha dovuto ammettere che gli italiani, da oltre un anno, combattono nelle irrequiete regioni meridionali. Gli annunci relativi ad un rafforzamento dei contingenti, accompagnato da un miglioramento degli armamenti e da una maggiore libertà d’azione per le truppe, sebbene abbiano avuto scarsa risonanza nell’opinione pubblica, hanno implicitamente confermato che qualcosa sta cambiando nella stessa politica estera e militare italiana. Tuttavia, solo le periodiche notizie sui nostri militari morti e feriti durante operazioni belliche, sembrano risvegliarci, di tanto in tanto, da una sostanziale indifferenza nei confronti di un conflitto visto come lontano e spesso non compreso o confuso con le altre missioni italiane in Africa, nei Balcani o in Medio Oriente.
In Afghanistan (ma non solo) gli italiani combattono una vera e propria guerra, lo fanno sotto le bandiere della Nato, ma è pur sempre una guerra, con tutto ciò che questo termine comporta. Di fronte a tale situazione sarebbe forse opportuno rendere partecipe la nazione di quanto sta accadendo, senza limitarsi a coinvolgerla esclusivamente nelle manifestazioni di cordoglio in occasione della morte dei nostri soldati. Gli italiani hanno il diritto di sapere perché si combatte, come si combatte e soprattutto qual è la via di uscita dall’Afghanistan. Nessuno nega l’importanza del rispetto degli accordi internazionali, ma d’altro canto non è possibile neanche dimenticare che, in base all’articolo 11 della nostra Costituzione, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

 

Alessio Palumbo