“Salentu: lu sule, lu mare, lu ientu”. Recita così l’allegra assonanza baciata del fortunato gioco linguistico che da diversi anni sta nutrendo la poderosa campagna di marketing territoriale orchestrata da enti istituzionali, operatori turistici ed addetti ai lavori per promuovere le affascinanti risorse naturalistiche del nostro tacco d’Italia, vestito da una coperta magica di residui archeologi e testimonianze artistico-culturali di indubbia bellezza.
Grottesco che proprio il vento, instancabile compagno di avventure che gonfia le vele e scompiglia i capelli del fortunato viaggiatore che solca il nostro mare sotto il ridente sole estivo, sia stato sferzato da una burrascosa schermaglia verbale sul suo possibile utilizzo come fonte di energia pulita ed alternativa. È nota, infatti, la mobilitazione di Italia Nostra e di alcune associazioni locali contro la costruzione di un impianto eolico sulla collinetta di San Giovanni a Giuggianello, caratterizzata dalla presenza di ulivi secolari, suggestivi muretti a secco e tracce preistoriche di antichissimi insediamenti umani. E proprio per preservare questo tesoro naturalistico e archeologico che il Tar di Lecce ha annullato l’autorizzazione a costruire le dodici pale del famigerato impianto eolico che Regione Puglia e Wind Service Srl erano pronti a realizzare. Pesantissime braccia metalliche dalla testa frastagliata sospinta dai frequenti aliti di vento che solcano il nostro Salento, a primo impatto quasi spaventose per la loro silenziosa imponenza.
Come gli impianti fotovoltaici, dunque, anche i parchi eolici sono messi sotto accusa per il presunto sfregio del profilo paesaggistico ed archeologico che la loro installazione comporterebbe. Dall’altra parte della barricata, i sostenitori di queste nuove ed inesauribili fonti di energia, a costo zero e legate solo alla ciclicità delle stagioni. Tralasciando le argomentazioni dell’una e dell’altra fazione, sorge spontanea una piccola riflessione. Ancora una volta, la microeconomia dei nostri piccoli centri urbani sembra incespicare sul tortuoso terreno delle nuove frontiere di produzione ed organizzazione del lavoro, come se fosse risucchiata dal vortice di vecchie e ormai consunte categorie di giudizio, in grado di strozzare ogni tentativo di innovazione tecnologica volto ad implementare le possibili ed alternative vie di gestione delle risorse energetiche che il territorio per sua natura offre.
Come dire, una battaglia contro i mulini a vento. Persa prima ancora di cominciarla.
Cinzia Rubano